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Il Menhir “Perda fitta”

Di notevole rilevanza storica, giace da due millenni dimenticato nella campagna serramannese (Coordinate Gauss-Boaga fuso Ovest: E=1488531 N=4364920).

Questo il, singolare, destino del Menhir Perda Fitta, nell’omonima località nelle campagne serramannesi.

 

Il Menhir "Perda Fitta"

 

Il menhir Perda Fitta, letteralmente “pietra infissa” a terra, è un masso in granito, alto 1 metro e 45 centimetri; masso naturale, appena scolpito per farlo apparire una statua con numerose coppole simulanti le mammelle (ben 10) rappresentate con incavi (rilievo negativo) legato al culto della Dea Madre.

Databile attorno al 2500 a.C., il famoso archeologo sardo Giovanni Lilliu, nel libro del 1963 “La civiltà dei sardi: dal neolitico all'età dei nuraghi” scriveva «nella forma del masso naturale appena sbozzato si coglie una sorta di simulazione antropomorfa… il sunto del volto…» ovvero cenni di

lavorazione che definiscono in modo sommario i tratti del volto, quasi a rappresentare la Dea Madre nutrice e veggente.

Il culto della Dea Madre o Grande Madre era molto diffuso durante il periodo pre-nuragico, definito cultura di Ozieri (o di San Michele), cultura che si sviluppò in tutta la Sardegna durante un periodo di tempo che va dal 3800 a.C. al 2900 a.C.; il suo nome deriva dalla zona in cui sono state rinvenute le testimonianze più importanti e precisamente in una grotta chiamata di San Michele, nei pressi della cittadina di Ozieri.

È facile capirne la sua rilevanza storica, speriamo che questa importante testimonianza non vada perduta e soprattutto non finisca con l’abbellire qualche giardino privato.

 

La necropoli punico-romana di “Su Fraigu”

Alla fine degli anni ’80, in seguito al ritrovamento di alcune anfore con resti umani durante lavori di aratura in un campo, si portò alla luce, in regione “su fraigu” (Coordinate (Gauss-Boaga fuso Ovest): E=1491302 N=4363927), una importante necropoli punico-romana (databile tra il IV° sec. a.C. e il I° sec. d.C.), con prevalente sepoltura di bambini in tombe a camera o direttamente nel suolo, con corredo funerario di tipo ceramico.

Le campagne di scavo son state quattro, attuate nell’arco di dieci anni (la prima nel 1989, nel 1997 e 1998 e l’ultima nel 1999).

La densità dei ritrovamenti è stata elevatissima, si pensi che in un area di appena 100 m2 si è reperito tanto materiale da poter permettere l’allestimento di una mostra permanente; e in effetti

alcuni anni fa l’Amministrazione comunale aveva pensato di adibire i locali dell’Ex Mattatoio proprio per questo scopo.

Purtroppo la vocazione agricola molto importante per la produzione agraria è in forte contrasto con la presenza della necropoli che, anche se in assenza di informazioni storiche ed epigrafiche, presuppone l’esistenza di una città o almeno di un importante insediamento abitativo; “Su Fraigu”, infatti, per chi è conoscitore delle sfumature della lingua sarda, sa che con questo termine veniva indicato nel passato un complesso edilizio di rilevante consistenza e importanza.

A tutt’oggi, i reperti rinvenuti non sono purtroppo visibili; solo nel 2002 si tenne presso il Museo Archeologico di Cagliari una mostra intitolata “Tra Cartaginesi e Romani.

 

Necropoli "Su Fraigu"

 

Lo scavo della necropoli di Serramanna”, e a seguire nel 2003 son stati pubblicati due opuscoli, inseriti nei Quaderni della Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, uno a cura delle Dott.sse Consuelo Cossu e Elisabetta Garau “Complessità rituali e ideologia funeraria punica nella necropoli di su Fraigu”, e uno a cura della Dott.ssa Rosalba Floris, ricercatrice antropologa presso il Dipartimento di Biologia Sperimentale dell’Università degli Studi di Cagliari intitolato “I resti scheletrici umani - Tra Cartaginesi e Romani. Lo scavo della necropoli di Serramanna”.

 

 

 

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