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Prenuragico/Nuragico   Fenicio/Punico Romano Medioevo Catalani 1800 1900 Oggi

Culture prenuragiche

Per lungo tempo la presenza dell'uomo nel territorio di Serramanna si faceva risalire al periodo relativo al nuraghe rinvenuto sotto la chiesetta campestre di Santa Maria e alla fontana primitiva di "Bau sa Figu" (II millennio a.C.); successivamente la scoperta di altri reperti risalenti all'epoca della "Cultura di Ozieri" (3300 - 2500 a.C.) e a quella della "Cultura di Monte Claro" (2500 - 1800 a.C.), hanno spostato la data dei primi insediamenti umani nel territorio di Serramanna alla fine del IV millennio a.C.. Di notevole importanza è il menhir Perda Fitta, masso di granito, alto m. 1,45 "masso naturale sbozzato" per farlo apparire una statua con numerose coppole simulanti le mammelle (ben 10) rappresentate con incavi (rilievo negativo) - dettagli alla pagina Archeologia.

Villaggio di «Cuccuru Ambudu»

Il villaggio preistorico di "Cuccuru Ambudu" si estendeva in una vasta zona collinare (m. 61 s.l.m.) alla periferia nord-orientale di Serramanna tra le strade che portano, a occidente a Serrenti, e a oriente a Villagreca.

Le caratteristiche del villaggio, ricostruite attraverso una attenta analisi dei materiali rinvenuti, portano a pensare che fosse frequentato già in epoca prenuragica, in un periodo collocabile tra il Neolitico recente (Cultura di Ozieri) e l'Eneolitico (Cultura di Monte Claro).

La raccolta del materiale archeologico (numerosi frammenti ceramici) si deve al professor Enrico Atzeni (docente dell'Università di Cagliari).


Riproduzione di alcuni dei reperti ritrovati presso «Cuccuru Ambudu».

Vaso Globoidale (Ceramica della Cultura di Ozieri) Vaso Tripode (Ceramica della Cultura di Ozieri)
Vaso Globoidale (Ceramica della Cultura di Ozieri) Vaso Globoidale (Ceramica della Cultura di Ozieri)
Vaso Tripode (Ceramica della Cultura di Ozieri) Ciotola (Ceramica della Cultura di Monte Claro)
Grande Ciotola monoansata (Ceramica della Cultura di Monte Claro) menhir Perda Fitta

 

I Nuraghi

Il nuraghe più noto è senza dubbio quello rinvenuto nella zona di Santa Maria durante gli scavi effettuati sotto la sacrestia della chiesetta campestre; quei luoghi furono inoltre frequentati, oltre che nella preistoria, anche dai fenicio-punici, dai romani, dai bizantini fino ad arrivare agli aragonesi e agli spagnoli.

Un altro nuraghe sorgeva qualche chilometro più a sud del primo, in località Santa Luxeria, e un'altro situato a nord in località Su Muntonali, a poche centinaia di metri dal primo, in una posizione pressoché simile, dovuta al fatto, che in temi remoti e fino a quando il corso del fiume Leni non venne regolato da argini artificiali, il suo letto si trovava in certi periodi dell'anno più vicino ad una o all'altra zona. Il nuraghe individuato in località Bruncu Gattus, in un territorio confinante con quelli di Serrenti e di Samassi, a differenza degli altri tre, ha le caratteristiche tipiche del nuraghe, dato che si trova in cima ad una collinetta, e nelle vicinanze non ci sono falde acquifere.

I Fenici e i Punici

Quando i fenici cominciarono a popolare le coste della Sardegna, tra il IX e l'VIII secolo a.C., la civiltà nuragica era in pieno sviluppo; vi sono, infatti, documenti archeologici che riportano i contatti commerciali tra il popolo fenicio-punico e quello indigeno, che si protrassero fino al VI secolo a.C.. I riferimenti archeologici di origine punica, rinvenuti nel territorio di Serramanna, sono localizzati nella zona di Santa Maria, dove durante gli scavi del 1843 vennero alla luce reperti di epoca nuragica accanto a sculture cartaginesi, e di Bau sa Figu, ricca di testimonianze fenicio - puniche.


La Chiesetta di Santa Maria vista dal punto in cui il fiume Leni confluisce nel fiume Mannu

L'epoca romana

La presenza dei romani nel territorio di Serramanna è testimoniata dagli innumerevoli ritrovamenti, sparsi un pò ovunque:

Località Zona Ritrovamento Reperti

Bia Biddarega

sul margine destro della strada per Villagreca Villaggio romano frammenti di embrici

Bia Munistei

sul margine sinistro della strada per Monastir Villaggio romano frammenti di embrici
Tombe romane  monetine

Bia Serra

a nord dell'abitato Villaggio romano orci, "lacus", ceramiche
Tombe romane lastrone in arenaria (m. 1,60x0,58x0,19), anfora frammentaria,   piattini, lucerne, monetine, frammenti di ossa umane

Bruncu Gattus

confini settentrionali di Serramanna Villaggio romano frammento di grosso embrice

Bruncu Murus

collinette sulla sinistra della strada per Villagreca Villaggio romano grossi frammenti di embrici, resti di pasto
Tomba romana sarcofago di granito (m. 1,95x0,67) con lo scheletro del defunto e il corredo di brocchete, piattini e lampade

Cuccuru 'e Ponti

sulla destra della strada Serramanna-Samassi Tombe romane a cassone anfore, lampade

Gibatzargiu

vicino a Bia Munistei Villaggio romano resti di embrici

Is Gibas

a ovest dell'abitato Villaggio romano embrici frammentari, cocci di ceramica
Tomba romana a cassone scheletro del defunto, grossa anfora
Pozzo di forma rettangolare (m. 1, 10x2,20), profondo m. 5

Ponti Nacossu

confini settentrionali, tra la strada provinciale il fiume Mannu Villaggio romano frammenti di embrici, cocci, frammenti di argilla rossa, tubo di piombo
Tombe romane a cassone anfore, piattini, lampade

San Giorgio

a nord-ovest del paese Villaggio romano frammenti di embrici, mattoni di argilla rossa e gialla

San Pietro

a sud di Pimpisu, vicino alla riva sinistra del fiume Leni Villaggio romano frammenti di embrici con incastro a sezione triangolare di argilla rossa e gialla

Sant'Antiogu de sa Roja

1,5 Km a sud-est del paese Villaggio romano frammenti di embrice, ceramiche
Tomba romana a cassone

Santa Barbara

a sud-est del paese Villaggio romano fondamenta di muri, embrici, ceramiche

Santa Luxeria

più a ovest di Is Gibas Villaggio romano fondamenta di muri in pietra, frammenti di embrici, cocci di argilla rossa, bocche di vasi

Santa Maria

presso la chiesetta Villaggio romano frammenti di embrice a sezione rettangolare, vasche, cisterne

Santa Marina

a nord del paese Tombe romane scavate nell'argilla la testa dei defunti, rivolta a levante, risultava coperta da embrici messi a tettuccio, anfore, piattini, monete, lampade

Santudeus

nord-ovest, lontano dal paese Villaggio romano con terme tegole termali di argilla rossa e gialla, fondamenta di  antiche abitazioni, costruzione semicircolare con muro spesso cm. 50, tubo interrato (Ø cm. 5)

Sa Turri 'e su Fotti

tra Cuccuru 'e Ponti e Santa Marina Villaggio romano rialzo artificiale che da il nome alla zona, ossa umane
Tombe romane a cassone brocchete, lampade, piattini

S'Ortu 'e Pizzus

nord-ovest del paese Villaggio romano frammenti di embrici in superficie e fondamenta di muri a cm. 30 di profondità

Stradoi Nuraminis

sul margine sinistro della strada per Nuraminis Villaggio romano frammenti di embrici, mattoni di argilla rossa e gialla, rovine di vecchi muri

Su Muntonali

nord-ovest del paese Villaggio romano frammenti di embrici e ceramica, parte superiore di una macina in trachite

Purtroppo di tutti questi reperti, fatta eccezione per qualche moneta, piattino o lampada presenti al Museo di Cagliari, non è rimasto nulla; c'è da dire che la maggior parte dei ritrovamenti sono stati fatti relativamente di recente, quando si cominciarono ad utilizzare i trattori, che con il loro aratro scavavano più a fondo nella terra, ma a causa dell'ignoranza e del diffuso menefreghismo dei serramannesi non è rimasto niente da mostrare; anche il contadino che possiede un pezzo di terra, quando trova qualche reperto archeologico, piuttosto che avvisare la Sovrintendenza alle Antichità, preferisce sotterrarlo di nuovo o portarlo via di nascosto, per paura che le autorità competenti blocchino tutte le attività sul suo terreno.

Curioso è il fatto avvenuto nel 1888, quando fu ritrovato un sarcofago di granito dell'epoca romana, che data la su somiglianza con le caratteristiche vasche sarde ("su lacu"), venne usato per lavare i panni in casa, mentre il coperchio diventò la lastra di copertura di una fogna.


Legenda delle località dove sono stati trovati reperti di epoca romana:
A SANTUDEUS N SANTA MARINA
B PONTI NACOSSU O BIA SERRA
C SA TURRI 'E SU FOTTI P SANT'ANTIOGU...
D BRUNCU GATTUS Q BIA BIDDAREGA
E BRUNCU MURU R BIA NURAMINIS
F SAN PIETRO S BIA MUNISTEI
G SAN GIORGIO T GIBATZARGIU
H MUNTONALI U IS GIBAS
I S'ORTU DE PIZZUS V SANTA LUXERIA
H SANTA MARIA Z SANTA BARBARA
M SANTA GIULIANA

I Vandali e i Bizantini

Nella prima metà del V secolo d.C., con l'invasione dei Vandali in Sardegna, anche Serramanna fu interessata dagli eventi religiosi del tempo. La Sardegna venne utilizzata come terra di confino. La fine della dominazione dei Vandali e la reintegrazione della sovranità Bizantina diede nuovo impulso alle comunità religiose di rito greco, in particolare nel territorio di Serramanna, dando vita a numerosi insediamenti intitolati ai santi greci, i cui nomi sono ancora noti ai giorni nostri: Santus Angius, Sant'Antiogu de sa Roja, Santa Barbara, Santu Deus, Santu Jorxiu, Santa Giuliana, Santa Luxeria, Santa Maria, Santa Marina, Santu Miali, San Pietro.

I Giudicati

Con l'avvento poi, dei Saraceni in Sardegna, si ebbe l'affermazione dei Giudicati (attorno al 1000 si hanno i primi documenti scritti che testimoniano al nascita dei 4 Giudicati Sardi), che diedero vita al Governo Giudicale Sardo, che durò fino al XIV secolo; Serramanna faceva parte del Giudicato di Cagliari.
I Giudicati erano divisi a loro volta in Curatorie, e Serramanna faceva parte della
Curatoria di Gippi. La rottura tra chiesa di rito greco, cui apparteneva la chiesa sarda, e chiesa di rito latino fu sancita dallo scisma di Michele Cerulario nell'XI secolo, e questo determinò la cacciata dei religiosi di rito latino che operavano in Oriente e quelli di rito greco da Occidente, in particolare a Serramanna si stabilirono i monaci dell'Ordine di San Vittore di Marsiglia, vicini come formazione ai religiosi di rito greco.

Nel periodo medioevale sorgevano a Serramanna numerose altre ville: Bangiuludu, Saboddus - S. Pietro, Saboddus - S. Giuliana, Saboddus - Santu Deus, S. Maria di Monserrato (nel 1584 questi paesi erano ormai da tempo spopolati).

Dopo il 1257 Serramanna venne annessa al Regno d’Arborea al quale rimase sino al 1297, anno in cui venne ceduta al Comune di Pisa. La Repubblica Pisana abbandonò la Curatoria di Gippi nel 1363.

I Catalani

Nel 1323 con lo sbarco delle truppe dell'Infante Alfonso a Palma del Sulcis, venne introdotta in Sardegna, e di conseguenza a Serramanna, la lingua catalana;  come avvenne in passato per i punici, i romani e i bizantini, le usanze e la lingua introdotte dai conquistatori in Sardegna, perduravano per lungo tempo anche dopo la cessazione del dominio politico e militare; basti pensare che le deliberazioni del Consiglio Comunale di Serramanna venivano redatte in catalano, ancora nel 1819, cento anni dopo la fine della dominazione spagnola.

Dopo il 1363 Pietro IV il Cerimonioso la diede in feudo a Giovanni Civiller. Più tardi passò ai De Besora e nel 1455 Aldonsa De Besora riconobbe al paese libertà e franchigie

Il 29 maggio 1455, la feudataria della Curatoria di Gippi, stipulò con gli abitanti di Serramanna un atto di franchigia, di eccezionale importanza nella storia di tutta la Sardegna; il suo significato, anticipò di molto quei principi che solo nel XVIII secolo vennero espressi sia in Italia che in Francia, e che in Sardegna maturarono solo nel 1829.

I serramannesi vennero definiti "popolo" e "abitanti" e non "vassalli", come si usava definire tutti i gruppi rurali isolani. 

Si affermava nello specifico che le relazioni tra i serramannesi e la feudataria erano regolamentate sì sulla servitù e sulla dipendenza signorile, ma sulla base di un legame amministrativo i cui limiti sono fissati reciprocamente. 

La popolazione di Serramanna ebbe così sancito il diritto alla proprietà, e poté disporre liberamente dei propri beni; gli fu riconosciuta l'esenzione da ogni servizio personale e servitù reale, eccettuato il servizio militare e il pagamento dei tributi. I serramannesi, si impegnarono a dedicare una giornata di lavoro all'anno per la costruzione di abitazioni e per lo sviluppo delle coltivazioni.

Nel 1586 Joan Brondo ottenne il titolo di cavaliere, e nel 1594 acquistò dalla Corona i villaggi di Villacidro e Serramanna, che alla sua morte passarono al figlio Lluis Tòmas, e quindi al nipote Antoni Brondo de Ruecas, che nel 1617 ottenne il titolo di Conte di Serramanna (il suo stemma a strisce argento - nere, è ora riportato nello stemma del Comune di Serramanna).

[vai all'approfondimento su Il Conte di Serramanna]

 

Il 1800

L'insediamento umano nel territorio di Serramanna ha subito nel tempo, profondi cambiamenti. Da quello più lontano nel tempo localizzato a "Cuccuru Ambudu" a quello nella zona nuragica, nota oggi come "Santa Maria", "Bau Sa Figu" di età fenicio - punica fino a quelli di età romana e medioevale di cui non è rimasta traccia. Nella seconda metà dell'800 sono intervenuti cambiamenti radicali come l'incremento demografico e di conseguenza l'ampliamento dell'area abitativa.

Nel 1718, con il Trattato di Londra viene assegnato ai Savoia il Regno di Sardegna, e nel 1721 a Torino viene istituito il Sacro Supremo Regio Consiglio di Sardegna. Nel 1828 l'Intendente Generale di Finanze nel Regno di Sardegna, diede luogo alla formazione del Catasto dei beni urbani e rustici del villaggio di Serramanna, che si può considerare la prima raccolta di dati statistici riguardante il Comune di Serramanna; vengono infatti riportati meticolosamente tutti i terreni e i loro rispettivi proprietari, nonché il valore della casa e il valore netto dei beni.

Dal censimento del 1846 risulta che gli abitanti di Serramanna erano 2486, cifra ragguardevole per i tempi considerando l'elevata mortalità infantile, e le abitazioni 575. C'era il Giudice di Mandamento che risiedeva nel paese ed era coadiuvato da 5 persone, c'era una farmacia, un medico condotto, un chirurgo e due ostetriche. Gli scolari erano 40 e frequentavano le scuole elementari presso l'"oratorio", un locale adiacente alla strada e alla piazza principale, annesso alla chiesa parrocchiale. Si stima che all'epoca c'erano solo 60 persone che sapevano leggere e scrivere; per far fronte a questa situazione di analfabetismo dominante, fu aperta una scuola serale per adulti, che retribuivano il maestro con mezzo starello di grano a testa all'anno.

Si commerciavano sopratutto cereali e le botteghe erano solamente 20, e si vendevano vini, liquori e generi coloniali, solo 2 vendevano panni, tele e abiti.

Non c'era ancora il cimitero, ma un progetto ne prevedeva l'ubicazione in località "Sa Roja".

In quegli anni, un temporale gonfiò talmente il Leni, che straripò e si portò via il ponticello di legno; la situazione rimase precaria per molto tempo, giacché non ci si poteva approvvigionare di acqua potabile, comunicare con i villaggi vicini, andare ai campi dall'altra parte del fiume, tant'è che il Consiglio comunitativo chiese diverse volte al Re che il ricavate dalle roadie venisse destinato alla costruzione di un ponte in pietra, ma senza risultato. Si rese necessario utilizzare una barca; il servizio fu affidato ad un privato, dietro una corresponsione di beni in natura (2 imbuti di grano per i giornalieri, gli artigiani, i pastori e gli agricoltori con un solo giogo di buoi; 3 imbuti per gli agricoltori con 2 o 4 gioghi e infine 4 imbuti per coloro che avevano più di 4 gioghi).

Nel 1847 il Consiglio comunitativo stanziò una somma per aggiustare e lastricare il tratto di strada di fronte alla Chiesa di Sant'Angelo, obbligando i muratori a prestare 2 giornate di lavoro gratis e gli agricoltori a trasportare carri di pietre e ghiaia.

Anche se la situazione non florida per tutti c'era ugualmente spazio per i divertimenti: le danze al suono delle launeddas; i balli si tenevano in case abbastanza grandi per ospitare i giovani celibi e le fanciulle, che andavano accompagnate dalle madri. Tutti i matrimoni avvenivano sulla base de "sa carta de sa coja", una specie di contratto stipulato dai parenti della coppia, in uso anche nelle classi meno agiate. Dopo la cerimonia, celebrata in Chiesa e in Municipio, gli sposi sfilavano con i loro migliori abiti, attraverso le vie del paese per farsi ammirare.


Matrimonio del 1923. Gli sposi all'uscita dal Municipio.

A Serramanna, dove più tardi sorse il Parco della Rimembranza (un piccolo triangolo alberato che ospitava un eucalipto per ogni serramannese caduto nella prima guerra mondiale, 61 per essere precisi) allora c'era il "palo della forca", ovvero si eseguivano le pene capitali; infatti una leggenda del paese dice che in quel preciso punto non si riusciva a far attecchire il 61° albero proprio perché incombeva ancora l'ombra della morte. Sarà pure una leggenda, il fatto è che per tanto tempo non si riuscì a far crescere quell'albero privando così un defunto del ricordo dei suoi compaesani.

L'ultima sentenza di morte in Sardegna fu pronunciata proprio a Serramanna il 29 settembre 1854, anche se non fu eseguita in questo luogo, ma nella casa degli stessi condannati, dato che si stava già abbandonando l'esecuzione esibita in pubblico.

Ancora più tardi quel luogo fece spazio ad un distributore di benzina, mentre oggi c'è la Piazza Matteotti.

Il 1900

L'illuminazione. A partire dal 1905, l’illuminazione cominciò  ad apparire anche a Serramanna e così , almeno nelle strade più  importanti del paese, si diffusero i fanali a gas o a carburo.Era compito del Comune accendere, quasi ogni notte, i fanali a gas. L’illuminazione, comunque, non era considerata importante nelle notti di luna piena, in quanto questa illuminava quasi come questi fanali, che nelle notti di mezza luna venivano accesi fino alle 2 o alle 3 del mattino.

Da un documento del 1905 risulta che l’amministrazione comunale stanziò inizialmente 800 lire per la costruzione e la manutenzione dell’impianto, cifra che poi scese a 600 lire. L’illuminazione elettrica incominciò  a diffondersi in tutte le strade e in alcune case negli anni intorno al 1927 e dappertutto nel 1949-1950.

I fanali a gas funzionavano semplicemente: il carburo (carburo di calcio) a contatto dell’acqua reagisce producendo il gas acetilene che viene usato anche come gas illuminante. I fanali a carburo erano ubicati prevalentemente negli spigoli dei fabbricati agli incroci delle strade. L’impianto comprendeva una nicchia, ricavata nel muro (dimens. circa cm 30x50 di altezza e 30 di profondità) e protetta verso la strada da uno sportello in ferro. Dentro questa nicchia era sistemata una sorta di caldaia a chiusura stagna dove veniva posto il carburo e dove si versava dell’acqua che provocava la formazione del gas. Il gas veniva mandato, tramite un tubo, al fanale posto all’incirca come ancora oggi lo sono le lampade elettriche, fissate direttamente sui muri e non sul palo. Venivano accesi la sera, all’ora fissata dal Comune, dalla persona preposta a questo servizio e munita di un lucignolo (stoppino) acceso, posto all’estremità  di una canna che permetteva di raggiungere il fanale; è da presumere che lo spegnimento avvenisse una volta esaurita la razione di carburo contenuta nella nicchia, e quindi la produzione di gas.

L'acqua. Fino agli anni  ‘50 l’acqua non usciva dai rubinetti ma si distribuiva per strada: passava «s'acquaderi» un signore che guidava un carretto tirato da un asino, sul quale c'era «sa fascella» o «sa carrada», ovvero dei grandi contenitori d’acqua, talvolta avvolti d’erba per mantenerla fresca specie durante la stagione calda. 4 o 5 persone, possessori di un asino o muletto e relativo carro e botte che conteneva dai 300 ai 400 litri, si erano suddivisi il paese e col permesso dell’Autorità  Comunale portavano l’acqua potabile dalla fontana pubblica in paese a venderla per strada, ove venivano riempite le brocche. Tramite «sa cannada», un tubicino in canna chiuso da un tappo di sughero, si riempivano le brocche.

Oltre a questo modo esisteva anche un altro modo di approvvigionamento le donne andavano al Leni e prendevano l’acqua che portavano sul capo dentro una brocca; per evitare che la brocca facesse male, mettevano in testa «su tibidi», un panno arrotolato e chiuso a forma di cerchio che attutiva l’attrito e consentiva di tenere meglio in equilibrio la brocca piena d’acqua. L’acqua da bere si andava a prendere sempre al Leni, perché  le sue acque sono leggere mentre le acque del Mannu, molto più calcaree, non erano usate per bere.

In ogni caso bisogna sottolineare che solo l’acqua da bere veniva presa al Leni, mentre per lavare, lavarsi e abbeverare gli animali si utilizzava l’acqua prelevata dai pozzi che erano in quasi in tutti i cortili.

 

Funtana a migiasMolto particolare a questo proposito erano «is funtanas a migiasa», ovvero un pozzo che, strategicamente posto tra due muri di cinta veniva utilizzato da due famiglie, in buoni rapporti; in pochi casi, ma comunque ricordati, il pozzo era in comune anche tra due cucine appartenenti a due case diverse.

L’acqua del pozzo, benché  non potabile, veniva usata per tutti gli altri usi domestici, anche se per fare il bucato si andava al Leni in località Santa Maria.

  infatti c’era un guado, cioè l’acqua era più  bassa, e le donne andavano a lavare e stendere i panni sui cespugli; il bucato quindi durava una intera giornata. Precisiamo che oggi il Leni non passa più  vicino a Santa Maria, infatti il suo corso è stato spostato; oggi, laddove passava il fiume c’è una strada e un boschetto di eucaliptus.

Le donne facevano il sapone in casa secondo il tradizionale procedimento:

in un capiente «cardaxu» pieno d'acqua veniva versata della cenere con alcune foglie di alloro; decantato il liquido si aggiungevano dadini di grasso animale e soda; si portava di nuovo a ebollizione e il tutto veniva poi versato in stampi di legno e posto a raffreddare.


Le strade. Agli inizi del secolo le strade non erano ancora asfaltate, via Roma, Via Samassi, Via Rinascita e via Villasor erano sterrate, venivano sistemate spargendo della ghiaia proveniente dal torrente Leni. Naturalmente anche le strade che portavano in campagna erano sterrate e periodicamente, specie dopo lunghe piogge, avevano bisogno di essere risistemate per consentire ai contadini che andavano al lavoro con i carri un  minimo di sicurezza.

In questi casi venivano aggiustate con le “comandate”:Acciottolamento della Via Serra (anni '50)

Il   Comune cioè  stabiliva una tassa in base al reddito di ciascun cittadino, in questo modo:

  •  il proprietario di due o tre gioghi di buoi doveva prestare gratuitamente una o due giornate di lavoro, portando la ghiaia dal fiume Leni;

  •  chi non aveva reddito, cioè  non possedeva terre, lavorava a picco e pala per una giornata.

Questo sistema durò  fino al 1965 e ebbe probabilmente inizio con le prestazioni di lavoro gratuito che gli abitanti di Serramanna avevano giurato di prestare alla Signora Aldonsa De Besora, in seguito al patto di franchigia, stipulato tra lei e gli abitanti.

Nel 1949 si iniziò  ad asfaltare Via Roma, con contributo dello Stato a causa dei danni di guerra, provocati dai bombardamenti. Negli anni  '50 e  '60 si continuò  ad asfaltare tutte le strade del centro abitato.

Spostarsi fuori dal paese era naturalmente altrettanto difficile: per andare a Villasor in calesse si impiegava mezz’ora, per andare a Cagliari 2 ore circa; questi erano i tempi necessari se si usava il calesse e quindi gli animali dovevano trasportare un peso relativamente leggero, ma quando il trasporto avveniva con i carri, che andavano in città  a vendere i prodotti della nostra campagna o comprare beni non venduti in paese, il viaggio durava molto più  a lungo: sei ore circa, il che vuoi dire che si doveva viaggiare tutta la notte per essere a Cagliari la mattina successiva.

Dentro il paese passavano molti carri perché , benché  la Carlo Felice fosse già stata  costruita, non era asfaltata e aveva troppe salite, per cui i carrettieri preferivano evitarla. Nell’attuale Via Rinascita c’era una rinomata osteria dove i carrettieri si fermavano per riposarsi e far riposare le bestie.

A proposito di difficoltà  di spostamento che oggi a noi sembrano incredibili ricordiamo un altro particolare: quando il servizio postale da Cagliari a Sassari veniva effettuato tramite corrieri a cavallo, a Serramanna c’era la stazione per il cambio del cavallo che si trovava in località  Riu Estiu, tra Serramanna e Samassi.

La scuola. Prima della guerra, alla fine anni degli anni ‘30, a Serramanna c’era la scuola elementare e la scuola di avviamento agrario, cioè  le tre classi che oggi costituiscono la scuola media. Poiché  i paesi vicini non avevano l’avviamento, venivano a Serramanna anche studenti da Samassi, Villasor e Nuraminis; siccome non esistevano altri sistemi di trasporto, i ragazzi venivano in calesse o in bicicletta.

Coloro che venivano in calesse erano accompagnati da qualcuno che poi andava di nuovo via, in quanto non si poteva lasciare il cavallo incustodito. Il   numero   di   studenti    provenienti   dai   paesi vicini aumentò notevolmente durante la guerra, intorno al 1943 infatti a Serramanna e nei paesi vicini erano rifugiati gli  sfollati di Cagliari cioè  tutti i cagliaritani che avevano preferito stabilirsi nei paesi per evitare il pericolo dei continui bombardamenti.

Anche subito dopo la guerra gli studenti continuavano a spostarsi in questo modo nonostante ci fosse il treno, poiché  questo passava poche volte; basta pensare che uno studente serramannese che decidesse di studiare in città, doveva prendere il treno alle 6 del mattino e non poteva rientrare prima delle 5 del pomeriggio.

Prima la scuola elementare era in piazza Antonio Gramsci e la scuola media in case private e poi nell’edificio dove oggi ha sede la Banca Popolare di Sassari fino al 1975.                                        

Lotta alla Malaria

Il 12 aprile 1946, fu istituito l'Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna (ERLAAS) come ente speciale dell'Alto Commissariato Italiano per l'Igiene e la Sanità, per la realizzazione della lotta antianofelica in Sardegna.

Il progetto era finanziato da: UNRRA ( United Nations Relief and Rehabilitation Administration), ECA ( Economic Cooperation Administration ), Rockfeller Foundation.

La Fondazione Rockfeller contribuì al progetto, che ebbe inizio il 13 maggio 1946, anche con la direzione tecnica dello stesso, attraverso la propria International Health Division; l'attività continuò fino alla fine del 1950.in alcune case sono ancora visibili le tracce della disinfestazione

Nel 1943 i Tedeschi, prima di abbandonare la Sardegna, ne allagarono deliberatamente alcune zone determinando in questo modo una grave recrudescenza dell'epidemia malarica. La allarmante progressione della malattia era resa ulteriormente precaria dall'assenza di trasporti pubblici accettabili e dunque dalla estrema penuria di rifornimenti di vario genere. Inoltre i tentativi di bonifica di alcuni territori erano stati interrotti durante il conflitto.

Con l'arrivo delle truppe alleate cominciò l'uso del DDT, nuovissimo prodotto utilizzato in vicinanza degli accampamenti militari, per il controllo della malaria e come profilattico di routine contro gli insetti in genere. Notevoli successi erano stati ottenuti con il suo uso in altre parti d'Italia ( Napoli, foce del Tevere ). Nel tentativo di controllare la malaria a livello nazionale, venne proposto un programma sperimentale, con la collaborazione dell'Istituto Superiore di Sanità e nel quale fu coinvolta anche la fondazione Rockfeller, di eradicazione delle anofeline, e per questa sperimentazione venne scelta la Sardegna.

Nella prima campagna antianofelica (aprile-ottobre 1947) che fu di tipo sperimentale, si suddivise una superficie di 5400 chilometri quadrati nella parte sud-occidentale della Sardegna, in 10 sezioni, raggruppate in due divisioni.

Ogni sezione venne suddivisa in media in nove distretti e ciascun distretto in sei settori; i distretti furono, a loro volta, divisi in sotto settori che rappresentavano la superficie da trattare in una giornata. Il sottosettore più lontano veniva trattato il lunedì, quello più vicino il sabato.

Ai distretti venne assegnato un numero e un nome, secondo il metodo attuato già in Brasile. I 94 distretti istituiti avevano una superficie di 57chilometri quadrati e i 579 settori di 8 chilometri quadrati. Ma in realtà i distretti e i settori risultarono troppo vasti; i confini non erano ben demarcati, i disinfestatori dovevano affidarsi alla memoria, così capitava che alcune zone non venivano trattate mentre altre venivano trattate più volte.

Nella seconda campagna antilarvale, durata dal febbraio all'ottobre del 1948 si intervenne contro tutte le specie di zanzara anofele presenti in Sardegna; per facilitare le imprese di disinfestazione, i confini dei diversi distretti furono definiti in modo più chiaro, si cercò di invogliare gli osservatori attraverso una "caccia ai focolai", essi intensificarono i loro sforzi raccogliendo informazioni, facendo il censimento delle zone trattate e chiedendo la collaborazione degli abitanti per la segnalazione di eventuali zone non trattate. Disinfestazione all'interno di una casa, 1950
Nella terza campagna, che durò dal febbraio all'ottobre del 1949, vennero risetacciate le zone dove erano sopravvissute le anofeline (fino al marzo del 1949), poi si intensificarono gli sforzi contro la sola specie della Anopheles labranchiae.

Durante questa campagna si comprese che la dimensione media dei settori era ancora troppo ampia, si procedette, quindi, ad un'ulteriore suddivisione del territorio e ad una segnalazione più precisa dei luoghi che venivano trattati attraverso l'utilizzo di vernici che venivano applicate sulle rocce per segnalare il passaggio dei disinfestatori; ma alcuni di loro erano analfabeti e non sapevano riconoscere le scritte di indicazione, per risolvere il problema furono utilizzati alcuni simboli particolari.

Il lavoro effettuato in queste campagne (specialmente nell'ultima) fu soddisfacente, ma per prevenire l'eventuale pericolo che il vettore malarico fosse ancora la causa di morte, venne effettuata un'altra campagna antianofelica (la quarta) nel 1950 che doveva servire come controllo. I focolai furono ricontrollati e, dove la vernice si era cancellata venne rinnovata e sostituiti i simboli mancanti o illeggibili. Nello stesso anno, grazie alla raccolta di informazioni durante tutte queste campagne, furono creati dei documenti scritti e visivi.

Di questo progetto si occupò l'ERLAAS (Ente Regionale per la Lotta AntiAnofelica in Sardegna) che si occupò anche dell'addestramento del personale non specializzato; servivano infatti persone che avessero un minimo di conoscenze per la distinzione delle larve o degli adulti di zanzara anofele, dagli altri insetti. Questo servizio si occupò inizialmente dello "sterminio" della zanzara anofele adulta della specie Anopheles Labranchiae e, in tempi successivi, cominciò ad intervenire sulle larve che si sviluppavano nelle paludi. Proprio per avere la sicurezza di uccidere tutte le larve della zanzara anofele, non si intervenne solo sulle paludi più estese, ma anche sulle più piccole pozze d'acqua. Inoltre anche tutti i terreni, le case, le stalle furono sottoposti ad un trattamento molto minuzioso, perché, in caso contrario, quei luoghi potevano divenire pericolosi focolai.

A conclusione delle operazioni dell'ERLAAS l'Alto Commissario Italiano per l'Igiene e la Sanità decise di abbandonare ogni ulteriore tentativo di eradicazione del Labranchiae in Sardegna e di includere l'Isola nel programma nazionale di trattamento antialate.
Dopo un impegno assai notevole, durato circa 5 anni e costato svariati milioni di dollari, il vettore indigeno della malaria persiste ancora, seppure in numero esiguo, in alcune isolate zone della Sardegna; questo significa che il progetto dell'ERLAAS non ha avuto successo.  Tuttavia è necessario ricordare che questo era  soprattutto sperimentale e dunque con risultati non prevedibili, ma certamente la Malaria come malattia sociale è stata eliminata  dall'isola e, per la prima volta a memoria d'uomo, è diventato possibile vivere e lavorare ovunque.

Per la popolazione sarda questo risultato rappresenta indubbiamente uno degli eventi più significativi della sua storia, la vasta azione di bonifica  ha reso disponibili grandi aree di terreni coltivabili e, inoltre, è stata messa in luce l'entità delle risorse agricole, minerarie e naturali inutilizzate e potenzialmente preziose.

 

Serramanna nella seconda Guerra Mondiale, piccoli fatti

 

Grazie alle ricerche di Silvio Tasselli, grande esperto di storia militare (periodicamente parte dei suoi libri di Storia Militare vanno ad arricchire la ‘Biblioteca di Presidio' della Scuola Militare Pietro Teulié di Milano, come attestato da una targa "Fondo Silvio Tasselli") mi è stato possibile individuare alcuni fatti che seppur marginalmente hanno interessato Serramanna.

Serramanna per fortuna non ha mai risentito particolarmente di eventi bellici, ma nel 1943 fu interessata da alcuni fatti inerenti le operazioni belliche Marigold (sbarco Special Air Service [SAS]) e Hawthorn (Raid on Sardinia by the British Special Boat Section [SBS]) a causa della presenza dell'aeroporto militare di "Trunconi" (situato tra Villacidro e Serramanna e protetto dai monti per sfuggire alle incursioni dei bombardieri americani, che vide una massiccia presenza militare).

Ad ovest del territorio di Serramanna sono ancora visibili i resti dell'aeroporto militare, utilizzato dai tedeschi prima e dagli americani poi, con i ruderi dei rifugi antiaerei e le "casermette" all'interno del centro abitato.

Anno 1943 due pattuglie di SBS e SAS inglesi chiamate la prima Daffoil (4 uomini al comando del Capitano  J. Thomson) e la seconda Bluebell (4 uomini al comando del Tenente Duggan) vengono sbarcate alle 22.35 del del 30 giugno nei pressi di Scivu dal sottomarino Severn.

Si trattava di truppe speciali, incursori esperti in sabotaggio. Avrebbero dovuto sabotare rispettivamente i campi di volo di Pabillonis e Villacidro.  Il caldo, la poca acqua, la natura selvaggia sono duri avversari.

La pattuglia BlueBell perde subito un uomo (L. Thomson che riposa ancora oggi nel cimitero di San Michele a Cagliari) per la malaria.  La marcia è massacrante ed i militari abbandonano parte della loro pesante attrezzatura e si separano per raggiungere i rispettivi obiettivi.

La Bluebell poiché il sabotaggio dei campi non riesce, fanno saltare un tratto di ferrovia tra Samassi e Serramanna. Pochi giorni dopo i 4 vengono arrestati dai Carabinieri.

Più sfortunata l'altra pattuglia che per malaria perde il Capitano Thomson ed il sergente Mc Kerracher ed il soldato Henry Thomas (tutti riposano al Cimitero di San Michele), mentre gli altri due vengono subito dopo catturati, senza aver potuto fare sabotaggi.

Tutto ciò avveniva nello scenario delle operazioni militari che interessarono la Sardegna nel triennio 1940/43, teatro di molteplici mutazioni per quanto concerne le Armate, i corpi d’Armata e le divisioni interessati alla diretta difesa o alla pianificazione delle operazioni. 

La Divisione "NEMBO" a Serramanna

Ai primi del giugno 1943 la "NEMBO" venne destinata in Sardegna quale aliquota di manovra per concorrere alla difesa degli aeroporti e delle possibili zone di sbarco. 

La Divisione, alle dipendenze del XIII Corpo d'Armata, venne dislocata nel Campidano, zona centro-meridionale dell'isola, e nella Nurra, zona nord occidentale. 

Per esigenze operative la Divisione venne frazionata in raggruppamenti tattici; 

A Serramanna era dislocato il Raggruppamento "Renzoni" composto dai gruppi tattici "Rizzati" (XII btg./184° rinforzato) e "Corrias" (XIV btg./184° rinforzato) sotto il Comando di Divisione sito a Villanovaforru.

La Divisione iniziò subito un intensa attività  addestrativa congiunta con la 90° Divisione corazzata tedesca, che nel quadro della difesa dell'isola assolveva le stesse funzioni di manovra assegnate alla "NEMBO". 

In Sardegna i paracadutisti furono vittime di un inatteso e subdolo nemico, la malaria, che colpì 1/3 degli effettivi e ridusse in modo sensibile l'efficienza organica dei reparti. 

Anche nell'isola l'annuncio dell'armistizio creò un profondo turbamento spirituale tra i paracadutisti e l'intera Divisione scossa dagli avvenimenti. 

Il XII/184°, quindi il gruppo tattico “Rizzati” facente parte del raggruppamento “Renzoni” di stanza a Serramanna, altri reparti minori ed elementi isolati decisero di continuare a combattere a fianco dei tedeschi della 90a Divisione corazzata tedesca in movimento dal Campidano verso nord per ripiegare in Corsica. 

Si inserisce in questo contesto l'uccisione, al bivio di Borore presso Macomer, del Ten. Col. Alberto Bechi Luserna, Capo di S.M. della "NEMBO" e già  Comandante del IV btg. della "FOLGORE" ad El Alamein, che tentò di convertire i paracadutisti del XII/184° a ritornare sulle loro decisioni.

 

Il 2000

Via Eleonora d'ArboreaSe si confrontano le cartografie storiche a partire dal 1842 (cartografia Lamarmora) sino al secondo dopoguerra, è facile constatare lo sviluppo uniforme del centro urbano lungo i percorsi già indicati nelle prime planimetrie del XIX secolo.

La ferrovia fu introdotta a cavallo fra i due secoli e non ha tuttavia condizionato la forma urbana, almeno sino al 1930.

Il paese come ci appare oggi, rispetto alle rappresentazioni risalenti al 1960, appare sensibilmente dilatato: i percorsi che prima si irradiavano "dal" centro ora sono "del" centro. Il corso del fiume Mannu e il tracciato della ferrovia da una parte e il canale di bonifica dall'altra, hanno arginato l'espansione di Serramanna determinandone l'allungamento secondo una direzione preferenziale ad essi parallela.
Le recenti espansioni periferiche sono caratterizzate da una maglia viaria regolare pur appoggiandosi a vecchi tracciati, e rispondono a modalità insediative che si discostano decisamente da quelle dell'antico nucleo urbano, in cui invece, i percorsi sono stretti, irregolari e quasi labirintici.

Il tipo edilizio dominante a Serramanna, di chiara matrice rurale, è la casa a corte all'interno della quale, insieme all'abitazione, trovano collocazione i corpi di fabbrica necessari al ricovero del bestiame, al rimessaggio degli attrezzi da lavoro e allo stoccaggio delle derrate alimentari e dei prodotti agricoli, tutti disposti lungo il perimetro. Al centro del cortile, un tempo acciottolato, solitamente si trovava il pozzo che garantiva la risorsa idrica alla famiglia.
Il centro del paese, lungo la via Roma, invece è caratterizzato dalla diffusione del tipo edilizio a palattu, con impianto simmetrico, articolato su due livelli perfettamente sovrapposti, spesso ingentilito da un ricco apparato decorativo fatto di balconi, opere in ferro, cornici e mostre. Si tratta di un modello importato dalla città dalle classi più agiate, secondo il gusto di fine '800, che nei centri rurali veniva adattato alle esigenze di un'economia prevalentemente agricola.

La tecnica costruttiva che contraddistingue queste abitazioni fa uso esclusivo dei materiali naturali reperiti sul territorio: la terra cruda viene utilizzata per la produzione dei mattoni impiegati nelle murature, il pietrame erratico nei basamenti, il legno nelle strutture degli orizzontamenti e delle coperture ecc.[vedi]

Su Conettoni

L’attuale Viale Fra Ignazio, era il cosiddetto «conettoni», cioè  una strada di campagna che attraversava la zona de «is argiolas», cioè delle aie, che aveva una duplice funzione: portare ai campi e, nelle stagioni delle piogge, raccogliere le acque delle zone alte della campagna, ma spesso diventava quasi un ruscello che buttava le sue acque in piazza delle Rimembranze (l’attuale piazza Matteotti) che allora era occupata da un boschetto di eucaliptus fatti mettere a dimora dal comune a ricordo dei serramannesi caduti nella guerra del 1915/18.

Su Conettoni nel 1954. Su Conettoni durante i lavori di copertura del canale.

 

Qualcuno ricorda qualche ondata di grandi piogge, come quella del 1932/33 in cui l’acqua scesa da Pranu de Orri, giunta al crocevia tra il Cimitero, Corso Europa e via Serrenti, divenne praticamente un fiume che trascinò  via anche una signora salvata all’ultimo momento da un bravo nuotatore. Quando l’acqua defluiva lasciava tanta sabbia che si portava via a carrucciu (con la carriola) per eventuali lavori, così  si evitava di comprarla.

Lo stesso anno il Mannu era in piena e il Leni straripò, invase i terreni per 80 cm. e arrivò fino ai primi gradini della Chiesa di San Leonardo. Nel 1935/36 si decise di costruire un canale scoperto che evitasse problemi di allagamento ed è da allora che la strada di campagna che portava a is argiolas divenne «su conettoni».

Infine nel 1972/73, dopo la costruzione del canale del Flumendosa, a monte del paese, che impedisce alle acque di Pranu de Orri  di arrivare all’abitato, fu coperto e le acque convogliate fino al Mannu. Da allora è diventata prima Via Silvio Carboni e Via Ugo Foscolo, e infine Viale Fra Ignazio.
 

Su Conettoni come appare oggi (l'attuale Viale Fra Ignazio)

Centro di Salute di Serramanna

A Luglio 2008 saranno trasferiti nei nuovi e più funzionali locali del Centro di Salute di Serramanna le attività sanitarie della Asl di Sanluri.

Da tale data saranno operativi il servizio della Guardia medica, del Consultorio familiare e del Dipartimento di prevenzione e igiene pubblica, incluse le attività di vaccinazione.

A settembre, con il completamento degli impianti per la dialisi, il Centro di Salute entrerà a regime e verranno trasferite tutte le attività e il personale del Centro assistenza dialisi, l’attivazione del Punto prelievi e del Punto Tao per il monitoraggio della terapia anticoaugulante e il Centro elaborazione dati della Asl.

In particolare il Centro dialisi, che sarà attivo su turni mattutini e serali, offrirà ai cittadini del Medio Campidano la possibilità di effettuare la terapia senza spostarsi dal territorio provinciale. Inoltre uno spazio del Centro di Salute sarà messo a disposizione del Comune di Serramanna per permettere la presenza costante dell’assistente sociale comunale.

La struttura si presenta con un ingresso principale centrale per accedere al Centro dialisi, alla specialistica ambulatoriale e al Dipartimento di igiene pubblica e prevenzione, di un ingresso separato per il Centro elaborazione dati e di un altro per la guardia medica. All’esterno, in un cortile di 700 metri quadrati, si sta realizzando un prato verde con annessi i giochi per i bambini e panchine per il relax che potranno essere sfruttati, compatibilmente con gli orari di apertura degli ambulatori, da tutta la cittadinanza. L’edificio si inserisce nel contesto armonioso del quartiere in cui sorge ed è circondato da ampie aree di verde.

Servizi e numeri di telefono

Il numero di telefono (070 9139214) per contattare il servizio di Guardia Medica osserverà i seguenti orari: dalle ore 20.00 alle ore 8.00 del giorno successivo di tutti i feriali e dalle 10 dei giorni pre-festivi alle ore 8.00 dei giorni post-festivi.
Il Consultorio familiare ha i seguenti numeri telefonici (tel. 070 91342852 e fax 070 91342864).

Gli orari di apertura sono invece dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 13.00 e il lunedì pomeriggio dalle 15.00 alle 18.00.

Il servizio di Igiene Pubblica, rispetterà i seguenti orari: il martedì e il giovedì dalle 8.30 alle 11.00.

 

 

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Fatti, curiosità e ricerche, (ilmiolibro.it), 2010

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